LOSARDO. Un omicidio di cui solo la giustizia non sa niente. Ora il film

Sono passati più di 40 anni da quando Losardo, ferito e prossimo alla morte, trova la forza di denunciare i suoi assassini e dice a un maresciallo dei carabinieri che era subito accorso: “Tutta Cetraro sa chi mi ha sparato”. Ma la richiesta di parlare, di dire quello che sapeva, fatta da don Giannino (così lo chiamavano tutti), non viene accolta da chi ha condiviso con lui gli ultimi istanti della sua vita. Aveva 54 anni.

Oggi un film accende di nuovo i riflettori su questa vergognosa vicenda. La regista è la giornalista Giulia Zanfino. Noi, in attesa del 29 dicembre ore 19.00 per la diretta con la Zanfino siamo qui in grado di raccontare aspetti e presentare documenti poco conosciuti. (I link utili a fine articolo)

Per partecipare alla diretta -> https://fb.me/e/1cqry4nxz

Franco Muto, detto il re del pesce e considerato a capo del clan Muto è accusato di essere il mandante. Insieme a lui, i suoi picciotti Francesco Roveto, Antonio Pignataro, Franco Ruggiero e Leopoldo Pagano, ritenuti gli esecutori materiali dell’assassinio. Poi tutti assolti.

Nel 1984, a Bari, luogo del processo, vengono invitati a comparire, in particolare, il procuratore capo della Repubblica di Paola Luigi Balsano e il sostituto Luigi Belvedere, tra l’altro all’epoca sospeso dalle funzioni e finanche dallo stipendio su provvedimento del Csm. Nei confronti di Balsano, si procede per omissione di atti d’ufficio. Nel corso delle indagini sull’assassinio di Losardo, trascurò (guarda un po’ il caso) di incriminare Franco Muto che, fortemente sospettato dell’omicidio, durante un interrogatorio oltraggiò la magistratura e tentò pure di aggredire i difensori di parte civile, l’avvocato Nadia Alecci e il senatore comunista Francesco Martorelli.

Molto più gravi le imputazioni nei confronti di Belvedere: interesse privato in atti d’ufficio e falso per aver ritardato e modificato le date di emissione di alcuni ordini di cattura a carico del figlio di Franco Muto, Luigi, che forse proprio grazie a quegli “errori” si rese latitante…

tratto da Iacchitè -> https://www.iacchite.blog/la-procura-di-paola-muto-e-il-clan-degli-insospettabili/

La relazione del magistrato Granero descrive una situazione torbida nel circondario Paolano. Luogo di riciclaggio e interessi incrociati tra criminalità organizzata e istituzioni.

GLI AFFARI DI BELVEDERE

… Già allora – continua il magistrato ispettore – erano sorti dubbi sui rapporti di affari che il dottor Belvedere avrebbe intrattenuto con imprenditori del luogo ma soltanto adesso è emerso il tentativo – allora riuscito – del dottor Balsano di mettere a tacere queste voci impedendo che risultassero da un’informativa della Guardia di Finanza… Andato in pensione Balsano, il discorso finisce sempre per focalizzarsi sul dottor Belvedere. Questo fatto spiega come in effetti la sua presenza per vent’anni in quel posto, la apparente acquiescenza di Balsano, la giovanissima età, allora, del dottor Fiordalisi, che venne a ricoprire il secondo posto di sostituto nel dicembre 1987, la debolezza dell’attuale (riferito al 1991, ndr) procuratore capo dottor Arnoni, abbiano consentito al dottor Belvedere di improntare di se, in bene e in male, quella procura. Si può quindi concludere per una sostanziale identificazione tra la procura di Paola, istituita nel 1966 e il dottor Belvedere, che vi ricopre l’incarico di sostituto dal 1970”.

Losardo aveva trovato le prove di illeciti per miliardi al porto di Cetraro, di illeciti nei lavori di consolidamento nella gestione del mercato del pesce e del lassismo della procura nel combattere certi traffici marittimi funzionali all’arrivo di cocaina e di eroina.

Il clan Muto, in sostanza, grazie alla connivenza della procura di Paola, faceva entrare sul Tirreno, trasformato a tutti gli effetti in “zona franca”, capitali enormi che poi venivano riciclati in una serie di attività apparentemente regolari.Losardo, standoci dentro, lo aveva capito e ne aveva parlato con i compagni di partito, in particolare con il senatore Francesco Martorelli, il quale già prima che don Giannino morisse aveva sottolineato come ci fosse “un distacco sempre più profondo tra l’opinione pubblica e la procura di Paola”.

Cresceva la sfiducia e crescevano i sospetti. Anche perché Belvedere, il capo effettivo, all’epoca relativamente giovane dall’alto dei suoi 44 anni, con il suo atteggiamento da “sceriffo” avvalorava questo tipo di sospetti. Girava con la pistola sistemata nella cintola e tutti dicevano che era diventato ricco perché prendeva i soldi del clan Muto.

Il diretto interessato, intervistato dagli inviati dei grandi giornali, diceva però che la sua leggendaria Lamborghini (cui si sarebbe aggiunta anche una Maserati) in fondo era di terza mano e la sua villa faraonica a San Lucido veniva pagata con la cessione del quinto dello stipendio.

La verità comunque era una sola: a Paola e su tutto il Tirreno in quegli anni dominava non solo il clan Muto ma più correttamente il clan degli insospettabili.

le piste possibili sull’assoluzione

Come è stata possibile l’assoluzione? Ancora una volta la risposta potrebbe essere già presente. Dormiente negli scaffali e nei cassetti della giustizia. Basta cercare, saper leggere e guardare. Tra le tante cose dette (giuste e sbagliate, credibili e create) al processo Garden ce ne sono alcune che avrebbero meritato una maggiore attenzione. Quantomeno una smentita.

Per un racconto sul Garden

Pranno parla di 70 milioni di lire ai fratelli Bartolomeo per “risolvere i loro problemi”. Garofalo confermerà e aggiungerà che quei milioni sono stati dati ad una persona di Bari. Probabilmente, aggiungiamo, una persona della giustizia.

I rapporti di Muto con i cosentini sono stati ampiamente descritti e raccontati e quindi perchè non pensare che gli ingranaggi, le entrature utilizzate per i Bartolomeo non siano gli stessi che per il caso Losardo? Cose ormai cadute in prescrizione, ma che per amore di verità storica e di giustizia andrebbero chieste e chiarite.

Per ulteriori elementi -> https://www.amazon.it/Teorema-Cosenza-Lesistenza-masso-mafiosa-dimostrata/dp/B08CP7LMP4